Ca' Pesaro

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PIER PAOLO CALZOLARI

Pier Paolo Calzolari

Vive e lavora a Fossombrone, nelle Marche. Nato a Bologna nel 1943, Calzolari trascorre l’infanzia e l’adolescenza a Venezia, il cui patrimonio artistico bizantino e la particolare luce lasciano una profonda traccia sulla sensibilità del giovane futuro artista. Nel 1965 torna a Bologna e apre uno studio a Palazzo Bentivoglio, dove realizza i primi lavori di pittura e accoglie mostre di altri artisti, presentando i primi film 8 mm e super8 di Ari Marcopoulos, Andy Warhol, Jonas Mekas e Mario Schifano e incontra personaggi come Allen Ginsberg, Julian Beck, Luigi Ontani, Raymond Hains e Chet Baker.

Nel 1966-1967 realizza la prima delle sue opere-performance (Il filtro e benvenuto all’angelo) che coinvolge gli spettatori in una partecipazione diretta dell’opera e che Calzolari stesso definisce una “attivazione dello spazio”, secondo un metodo di lavoro tipico della sua produzione successiva: gli “atti di passione”.

Tra il 1967, anno in cui si sposta a Urbino, e il 1972 Calzolari si muove tra Parigi, New York e Berlino e porta a maturazione il suo progetto artistico, stabilendo i parametri del suo vocabolario plastico. In questo periodo Calzolari è accorpato al movimento dell’Arte Povera e il suo scritto La casa ideale, che trova compimento in un gruppo di opere, viene da alcuni considerato uno degli enunciati essenziali di questo movimento. In questi anni realizza un ampio ciclo di lavori con strutture ghiaccianti e neon, come Oroscopo come progetto della mia vita e la serie dei Gesti, in cui la formazione della brina sulle forme, sancita del passaggio del tempo, è indice del processo di trasformazione alchemica della materia. In questo modo gli oggetti e i materiali che l’artista utilizza fin dal 1967 (fuoco, ghiaccio, piombo, stagno, sale, muschio, tabacco) conoscono una seconda vita accanto agli elementi luminosi, ricordo e traccia della lucentezza sublime del marmo veneziano. Nello stesso periodo ricorre, nella dialettica dell’artista, la simbologia dell’infinito, elemento che caratterizza la serie delle Rapsodie inepte.

A partire dal 1972, l’artista si concentra sullo studio della pittura in modo profondamente anticonvenzionale. Preferendo nuovi “supporti”, come la flanella spessa o fogli di cartone incollati sulla tela, l’artista giustappone segni pittorici a oggetti reali, come piccole barche di carta o trenini in movimento lungo percorsi ripetuti all’infinito. La pittura di Calzolari rimane legata spesso al coinvolgimento fisico delle persone: a Berlino ad esempio realizza una serie di lavori-performance raccolti nel libro intitolato Day After Day, a Family Life (come Usura amore e misericordia, work in progress dal 1972 al 1974) opere nelle quali l’artista, sovvertendo ogni formalismo, porta il rituale della quotidianità sul piano dell’esperienza estetica e in rapporto orizzontale con il mondo e con la storia. Il suo percorso, malgrado la prossimità evidente con la produzione coeva degli artisti dell’Arte Povera (in particolare con Mario Merz e Jannis Kounellis), con l’Arte Concettuale e il Minimalismo americano, o anche con Joseph Beuys, è caratterizzato da diversi elementi peculiari: la volontà di saturazione dei sensi prossima alla follia, la modalità di rendere visibili i dati del pensiero astratto e l’essenza delle cose, l’attenzione particolare rivolta alla fragilità di oggetti e materiali.

Dal 1973 si muove tra Bologna, Parigi e Milano dove si stabilisce per otto anni continuando la ricerca parallela tra pittura, scultura e performance. Infine si sposta a Torino e realizza alla galleria Tucci Russo installazioni composte da pitture di grande formato e performance. Intorno al 1982 lascia Torino per Vienna, dove torna a concentrarsi soprattutto sulla pittura. Dopo un anno e mezzo prende uno studio a Creta, ma qui la luce abbagliante del Sud impedisce ogni realizzazione formale di questa ricerca. Incontra lo stesso problema in Marocco dove realizza tuttavia una serie di disegni di grande formato. Per ritrovare i parametri più idonei al suo lavoro decide di tornare in Italia, e inizialmente, a Venezia, dove sceglie uno studio alla Giudecca. Purtroppo il ritorno di Calzolari nella città della sua infanzia si scontra con una realtà profondamente cambiata, incapace oramai di nutrire la sua curiosità intellettuale. Nel 1984 decide allora, per la sognata qualità della luce, di tornare nel Montefeltro dove vive e lavora tuttora. Nell’arco di questa permanenza nell’urbinate, Calzolari è invitato a partecipare a molteplici residenze all’estero, in particolare in Francia (La Ferme du Buisson, Domaine de Kerguéhennec, Atelier Calder, Le Fresnoy) durante le quali lavora nell’ambito della danza, interessandosi allo studio dei rapporti tra spazio, corpo e tempo, e dando così nuovo sviluppo al suo lavoro performativo. La dimensione estetica di Calzolari – che prende forma attraverso pitture, sculture, testi, registrazioni sonore, video, performance, il coinvolgimento di persone e animali, l’architettura e la luce, e una profonda diversità dei materiali – è di fatto difficile da circoscrivere o da ricomporre in un progetto che è tuttora in atto. “Nessuna considerazione formale – scrive Catherine David – può rendere conto di un’esperienza la cui dimensione è restituita in tutti i suoi stati”. Il percorso di Calzolari disorienta e scoraggia a volte i tentativi di riduzione critica, formale o ideologica.