Gli anni passati a Venezia coincidono con l’infanzia, l’adolescenza e la prima maturità di Valeria. Qui ha modo di conoscere l’opera di artisti come Campigli, Morandi, De Pisis, Casorati, Sironi, Scipione, Vedova, Santomaso, Pizzinato e poi Pio Semeghini, Carlo Dalla Zorza, Mario Vellani Marchi……
Appena quindicenne, nel dicembre del 1945, presenta al pubblico i suoi lavori in una clamorosa mostra personale organizzata dal Centro Giovanile di Unità della Cultura, meglio noto come Arco, promotore di iniziative interdisciplinari con un taglio “democratico” e aperto.
Ai fantasmi letterari e onirici della prima fase, segue una spiccata caratterizzazione espressionista; aderisce poi negli anni ’50 al realismo e inizia a privilegiare la china.
Di questa fase la mostra presenta alcune opere che registrano una realtà di povertà e di duro lavoro.
Ma Venezia ispira anche paesaggi notturni e una ricerca espressiva libera e surreale.
Dopo il trasferimento a Milano, Venezia rimane un riferimento se possibile ancor più sostanziale, come in Addio a Venezia (1973) in cui convivono simboli e luoghi reali, trasfigurati dal ricordo; dal ’76 si stabilisce a Roma e anche qui, dagli anni Ottanta, ripropone con forza la visione della città lagunare, riflessa nella mente nel flusso dei ricordi, raccontata con innumerevoli segni dinamici e inquieti.
In queste opere, caratterizzate da un’atmosfera magica e onirica, Valeria come un alchimista trasforma continuamente la città, la “reinventa”; è una città che si specchia nell’acqua e si raddoppia; è una città dall’architettura fantastica e orientale; è una città che racchiude ricordi e genera sogni.
Nelle grandi tele a olio del 2000, Valeria ripropone una Venezia già affrontata nei lavori a china; tutto è risolto con i bianchi e neri che mettono in rilievo la composizione formale. La grande dimensione permette di entrare negli spazi del quadro e di perdersi nella città, percorrendo ponti, calli, e strade vuote.