Ca’ Pesaro – Galleria Internazionale d’Arte Moderna
23 febbraio – 20 maggio 2018
La ritrattistica si concentra sugli umili, sugli individui ai margini della società. Rossi sceglie come protagonisti i pescatori o le loro mogli, cogliendo con pennellata energica e materica lo spirito di ogni figura ed esasperandone i tratti più duri, imperfetti ed esteticamente spiacevoli. Tra i ritratti che saranno esposti a Ca’ Pesaro troviamo Bruto (1913) uno dei migliori esempi dell’attenzione dell’artista verso i poveri e gli emarginati. Le pennellate forti scavano i tratti del volto, esaltando i segni di una vita difficile resa in tutta la sua crudezza. Questo ritratto è messo a confronto con la scultura Buffone (1913-14) di Arturo Martini: un grande busto in gesso dipinto che esplicita, in un gioco di rimandi estetici, la grande affinità tra questi due artisti e le similitudini nelle loro ricerche.
Allo stesso modo, le figure femminili si discostano dai ritratti di aristocratiche e borghesi, comuni a larga parte della produzione di quegli anni: le donne di Rossi sono popolane, spesso madri, spesso vestite di scuro e con abiti semplici, distanti anni luce dalle donne sofisticate fin de siècle.
In Ritratto di Signora (1914) e Maternità (1913) il contesto è inesistente, così come la decorazione, in totale contrapposizione con la grande tela di Felice Casorati Le Signorine (1912) che le affianca e che invece racconta di giovani figlie della borghesia, riprese in un luogo ricco di simboli e riferimenti alla loro vita e alla loro condizione sociale. In Rossi si percepisce un’impronta espressionista, che abbandona la piacevolezza estetica concentrandosi sulla crudezza come. La sua ritrattistica è, a tutti gli effetti, la risposta polemica al decadentismo floreale che troverà la sua conclusione solo con la Prima Guerra Mondiale.
Anche i paesaggi sono improntati ad un forte espressionismo, e risultano fortemente influenzati dai primi soggiorni in Bretagna: Douarnenez (1912) e Paesaggio nordico (1911) risalgono proprio a quel periodo e segnano l’inizio di un approccio che lo porterà ad un nuovo vedutismo, ancora una volta in contrapposizione con le esperienze artistiche contemporanee. Il soggetto prediletto, così come per molti suoi colleghi capesarini, è l’isola di Burano: lontana dal fasto decadente del centro storico, la piccola isola è un rifugio e un’inesauribile fonte di ispirazione. Barene a Burano (1912-13), insieme ad altri due paesaggi buranesi degli stessi anni, presenteranno al pubblico della mostra lo sguardo di Gino Rossi su questo ambiente primitivo ed ancestrale in cui uomo e natura si integrano in un legame indissolubile. A queste saranno affiancate le significative prove di alcune “sentinelle avanzate” del paesaggio moderno, cresciute sempre in ambito capesarino, come Pio Semeghini e Umberto Moggioli.
Nelle opere degli anni Dieci, il colore assume per Rossi un significato profondo che non si limita alla sola trasposizione della realtà: i blu, i verdi, i toni caldi dei suoi paesaggi sono in netto contrasto con i toni scuri dei ritratti. Il non-finito diventa mezzo di espressione costante e permette ai vuoti e ai pieni di bilanciarsi, lasciando quel senso di precarietà e di sospensione, tipico dei grandi artisti nella fase più matura.
L’esperienza della Prima Guerra Mondiale segna per sempre Gino Rossi e tutta l’avanguardia artistica italiana: i lavori dopo il 1918 sono più articolati e strutturati, incentrati su forme e volumi che riprendono la lezione di Cézanne. In occasione di Gino Rossi a Venezia verranno esposti diversi studi su carta e linoleumgrafie che segnano un avvicinamento allo studio della composizione: in particolare in Studio per natura morta con violino e pipa (1922), un disegno a gessetti colorati, il soggetto si discosta da quelli trattati prima della guerra ma mantiene il tratto forte e sicuro. Poemetto della sera (1923), infine, conclude il percorso ideale tra i capolavori in mostra: una scena bucolica con animali al chiaro di luna, un senso di quiete precaria in cui il colore si fa più rarefatto e le forme diventano schematiche e archetipiche.
Nel 1926 dopo solo 20 anni di produzione, Gino Rossi viene internato nel manicomio di Sant’Artemio a Treviso: non dipingerà mai più e morirà nel 1947, lasciando una grande incognita su come la sua ricerca artistica avrebbe potuto proseguire.
Gino Rossi a Venezia ripercorrerà la vita artistica del pittore attraverso alcuni dei suoi capolavori più significativi. Allo stesso tempo la mostra sarà occasione per mettere a confronto queste opere con quelle dei contemporanei capesarini e per sottolineare ancora una volta la forza espressiva e la personalità unica e dirompente di Rossi. L’esposizione sarà infine un momento unico per rivivere la vicenda dell’Opera Bevilacqua La Masa e le collezioni della Galleria Internazionale d’Arte Moderna attraverso il prezioso nucleo di dipinti di Gino Rossi, acquisiti con intelligenza e conservati con grande passione dalla Fondazione Cariverona, da tempo è impegnata nella promozione e nella valorizzazione del proprio patrimonio artistico.