di Elisabetta Barisoni
Responsabile di Ca’ Pesaro- Galleria Internazionale d’Arte moderna
La storia della Galleria Internazionale d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro si sviluppa in rapporto a due istituzioni centrali nella vita artistica veneziana e nazionale, nate entrambe tra la fine del XIX e i primi del XX secolo, la Biennale e l’Opera Bevilacqua La Masa. Le vicende che conducono allo stato attuale delle raccolte sono legate a numerose figure, che hanno vissuto e ripensato il palazzo di San Stae, cercando di conciliarne le diverse nature. La prima di queste è sicuramente Felicita Bevilacqua La Masa, senza la quale oggi non ci sarebbe forse alcuna vicenda da raccontare rispetto alla Fondazione omonima né rispetto all’avanguardia capesarina.
Il 28 gennaio 1889 la duchessa muore a Venezia e lascia un celebre testamento, in cui ripercorre le tappe della propria esistenza e pone le fondamenta per la sua lungimirante eredità a favore degli artisti. Si tratta di un lascito prima di tutto morale, alla città di Venezia, e alle generazioni future, che diventano così la vera discendenza di Felicita. La donna costruisce il suo testamento, e quindi il suo messaggio imperituro, in modo da rendere l’avvenire un luogo ricco di “figli Bevilacqua La Masa”. Il palazzo sul Canal Grande viene descritto, nel testo olografo, come una vera factory creativa, che possa raccogliere la produzione recente e gli studi d’artista: «Lascio il mio Palazzo di Venezia e la casetta nella fondamenta unitavi al Municipio di Venezia colla condizione che non possa mai in perpetuo essere in tutto o in parte venduto, ceduto, né permutato, e serva agli usi seguenti: l’ultimo piano per studi di giovani pittori studenti poveri, concessi gratuitamente, on con tenuissime pigioni: il 2° piano nobile da appigionarsi onde ritratte i mezzi per sopperire alle spese di manutenzione; il 1° Piano nobile e gli Ammezzati dovranno servire in tutto o in parte, ad Esposizione permanente d’arti, e d’industrie Veneziane, a profitto, specie dei giovani artisti, ai quali è spesso interdetto l’ingresso nelle grandi mostre, per cui sconosciuti e sfiduciati non hanno mezzi di farsi avanti, e sono sovente costretti a cedere i loro lavori a rivenduglioli ed incettatori che sono i loro vampiri. Il Palazzo dovrà essere intitolato “Opera Bevilacqua La Masa” con lapide murata nella facciata e porta di terra, e conservato col massimo decoro. Sul primo pianerotto dello Scalone dovrà il Municipio collocarvi a sue spese il busto in marmo del generale La Masa la di cui epigrafe sarà dettata dai miei Esecutori testamentari. Io desidero che siano accennati sugli edifizii che lego al pubblico, i nomi Bevilacqua e La Masa, perché con me si estingue il ceppo dei Bevilacqua, come in mio marito si estingue l’intera famiglia La Masa; e siccome nella Storia d’Italia non sono nomi sconosciuti, così voglio che la pietra sepolcrale che ricopre per sempre le nostre famiglie, attesti che gli ultimi rappresentanti di esse non furono degeneri, ma seguirono le secolari tradizioni degli antenati».
Sono ormai note le vicende che hanno portato a inizio del ‘900 all’esecuzione della volontà testamentaria di Felicita, mentre si attesta la prima presenza di uno studio d’artista a Ca’ Pesaro già nel febbraio 1901, con Guido Balsamo Stella. Molta strada hanno fatto le due istituzioni, parallele e contigue, fin dal 1907, quando a Venezia arriva Nino Barbantini in qualità di direttore della Galleria d’arte moderna e al contempo di segretario della Fondazione Bevilacqua La Masa. In molte occasioni, fin dalle Esposizioni storiche, è stato alquanto difficile il passaggio dalle attività espositive alle collezioni del Museo, implementate più a partire dagli acquisti alle Biennali che dalle acquisizioni alle mostre Bevilacqua La Masa. Per alcuni periodi, le raccolte di Ca’ Pesaro raccontano un percorso di occasioni mancate.
Tuttavia, negli anni sono entrate molte e significative opere di autori che sono nati tra Ca’ Pesaro, palazzo Carminati e le altre sedi degli studi d’artista afferenti alla Fondazione Bevilacqua La Masa. La storia si può e si deve spesso riscrivere, non necessariamente con iniziative rivoluzionarie ma aggiungendo sempre nuovi tasselli allo studio e alla consapevolezza di ciò che è stato. Luciano Zarotti nasce e cresce nell’alveo della grande stagione di nuova figurazione che attraversa l’Europa intorno alla fine degli anni sessanta, diventando uno dei “figli Bevilacqua La Masa”. In un percorso che parte con Balsamo Stella e arriva ai giorni nostri, Zarotti è immerso in un proficuo dialogo con le realtà più diverse, dalla Biennale alla Fucina degli Angeli, dall’Accademia di Belle Arti all’Associazione degli incisori veneti, percorrendo una strada che prende avvio dagli studi di palazzo Carminati, dove l’artista lavora nel 1968.
Le due importanti tele presenti oggi nelle collezioni della Galleria Internazionale d’Arte moderna, La finestra del poeta e Paesaggio, provengono dalle Esposizioni Bevilacqua La Masa e rappresentano un altissimo traguardo di un’intera stagione artistica che Zarotti riesce a condensare in lavori ricchi di coraggio e ambizione. La sua produzione non teme il confronto con l’avanguardia americana che era appena sbarcata in laguna, occasione del celebre primo premio a Robert Rauschenberg nel 1964, e nemmeno con la corrente pop che era nata di recente in Gran Bretagna, né con la grande tradizione pittorica veneziana, né con le arti ed industrie cui le esposizioni capesarine erano ugualmente dedicate. Zarotti sperimenta, nelle sua ricerca, le tecniche più diverse, non solo per la volontà di esplorare le proprietà della materia, a ricreare una vera officina del mago, ma per farle proprie e restituircene la bellezza: dalla grafica, al libro d’artista, dalla scultura in vetro ai murales di grandi dimensioni.
Nei tormentati anni settanta si leva un urlo umano, in cui si mescolano numerose eco, di Francis Bacon e Lucien Freud, di David Hockney e di George Baselitz, di David Salle e di Enzo Cucchi, di Richard Hamilton e di Chaïm Soutine, condensate in una figurazione espressiva e in una coerenza creativa che è soprattutto ed esclusivamente la firma di Luciano Zarotti. «La memoria di un fatto d’un avvenimento, d’un ricordo diventa protagonista dei quadri di Luciano Zarotti. Si accostano nell’opera elementi diversi che mettono a fuoco un pensiero dominante, espresso dalla presenza dell’uomo con straordinaria forza evocativa. L’uomo, l’uomo grida, l’uomo invoca, l’uomo comunica una sua passione. » (Guido Perocco, Luciano Zarotti, mostra personale presso la Galleria Flavio Stocco, Mestre, giugno 1975).
Le sale di Ca’ Pesaro accolgono quindi con grande piacere il ritorno di uno dei tanti illustri figli Bevilacqua La Masa; un figlio che ha saputo, nel tempo, perpetuare la volontà di Felicita e arricchire la nostra visione del mondo con una vitalità e un espressionismo mai sopito.