Dall’8 febbraio 2019 è entrato a Ca’ Pesaro un eccezionale nucleo di 32 opere di alcuni tra i più importanti autori italiani del ‘900: Massimo Campigli, Carlo Carrà, Giacomo Manzù, Ottone Rosai, Scipione e Mario Sironi.
I lavori provengono da note e importanti collezioni di arte italiana, come quelle della scrittrice e mecenate margherita Sarfatti, dell’editore Pietro Vallecchi, del critico d’arte Raffaele Carrieri, dell’avvocato e presidente dell’Accademia di Brera Rino Valdameri, dell’Ing. Alberto Della Ragione, dell’Avv. Pietro Feroldi, dell’industriale Carlo Frua De Angeli, dell’editore e critico Giampiero Giani, del commerciante Gianni Mattioli.
Tra le opere della raccolta privata ci sono cinque capolavori di Massimo Campigli, tra cui le celebri tele Le Amazzoni, 1928, La figlia del carceriere (La carceriera), 1929 e Donna ingioiellata, 1942, opera questa realizzata a Venezia, dove il pittore si trasferì allo scoppio della guerra e dove fu esposta, nell’autunno 1945, alla personale presso la galleria del Cavallino.
La stagione del ritorno all’ordine italiana si illumina di esempi altissimi per qualità e originalità compositiva, condotti nei primi anni venti da Carlo Carrà. L’artista recupera una forma compositiva classica, organizzata secondo un nuovo vocabolario basato su equilibrio, compostezza, misura. Già fondatore e maestro del Futurismo italiano, poi protagonista del ritorno all’ordine, Carrà rinforza la sua presenza in Museo con cinque opere, tra cui Mattino sul mare del 1928.
Giungono a Ca’ Pesaro anche cinque tele di un altro maestro italiano, Ottone Rosai e otto capolavori di Mario Sironi tra cui Il Bevitore, del 1923-24, già appartenuto alla critica d’arte veneziana Margherita Sarfatti. Sempre agli anni venti risale un secondo capolavoro di Sironi, Pandora (Il mito di Pandora), 1924, che rappresenta un corpo monumentale di donna su un paesaggio roccioso, inabitato, quasi primordiale.
Chiude la raccolta un nucleo di opere alternative al ritorno all’ordine, capaci di colori accesi e di audaci prospettive di tipo espressionista come quelle di Gino Bonichi detto Scipione, attivo nell’ambiente romano. Si tratta di un’arte che si pone in dissenso verso il regime e verso il realismo del gruppo di Novecento italiano e anticipa il secondo dopoguerra, facendo esplodere il colore e gli equilibri compositivi. Conclude la straordinaria collezione, in intenso colloquio con le raccolte di Ca’ Pesaro, una piccola ma preziosa selezione di sculture e disegni di Giacomo Manzù, tra i massimi intrepreti della scultura figurativa del secolo scorso.