“La rassegna antologica, essenziale e però di significativa eloquenza, consacra, alfine, negli spazi fatidici di Ca’ Pesaro, Corrado Balest tra i Maestri della contemporanea pittura veneziana. Si tratta, all’evidenza, di una scelta la quale tien conto che si tratta del tragitto aperto che si dipana e scandisce, con la certezza della padronanza conquistata di un proprio linguaggio, le battute di un “dialogo di pittura” di infinita chiarezza immaginativa sul crinale del confronto, come azzardo interminabilmente riproposto, tra l’analisi dei motivi convocati e la possibilità di tradurli in un evento dove la luce si fa pittura.
La pittura, per Balest, va cercata – e la cerca- dove è veramente: e la si può trovare sia tra gli astrattisti sia tra i figurativi, nella consapevolezza dei grandi maestri del passato. E’ fuor di dubbio, comunque, che, dopo il 1970, l’universo formale di Balest conosce l’aggiustamento nuovo, e definitivo. La rappresentazione di veduta, di paesaggio quale sin là Corrado aveva offerto – e non staccava, quanto meno nell’ordine tipologico, dalla tradizione codificata -, così come quella di natura morta, di figura, di ritratto, vengon meno quasi improvviso: l’artista, cioè, ne abbandona l’assunzione e la trattazione distinte in quanto generi caratterizzati e sottostanti a regole specifiche, per effettuarne una sintesi spregiudicata e libera come superamento dei limiti tematici attraverso la complessità del motivo e dell’intreccio, stabilendo nella misura di una spazialità interna, esplicitamente evocata o allusa, il punto strategico di riferimento: le coordinate, suggestive o evocate, non più – s’intende – prospettiche.
É impensabile che l’impegno grafico avvenisse su binari paralleli, e per tanto senza incroci, alla traiettoria della produzione pittorica, ed è da ritenere, semmai, che il sondaggio e la sperimentazione delle potenzialità del segno puro, ben lungi dal separarsene e procedere per proprio conto, interferissero, pungolandoli ed arricchendoli, sui processi di definizione, adeguata alla esigenze espressive, del linguaggio pittorico, anche attraverso la convocazione e il controllo di nuove, e più adeguate, proposizioni tematiche.
É il proprio Eden che Balest evoca in quanto presagio di un’Ellade antica come invaso, di desiderio, di sensualità e di erotici abbandoni; metafora, infine, della propria realtà esistenziale, col suo sentimento lieto della vita, con la sua ostinata gioia di vivere. E “con amore per il mondo” ( “motivi d’amore”, è intitolata una raccolta grafica del 1979 ) che gli “immaga” lo sguardo “di poeta” ignaro dell’ipocrisia quale la intendeva Montaigne in quel mirabile quinto capitolo del terzo libro degli Essais – ch’è il testo letterario forse più amato da Balest -, nello spirito ciceroniano ( De finibus, II, 77 ) onde “ non pudeat dicere quod non pudeat sentire”.
Il raggiungimento della nuova e definiva meta pittorica comportava, però, necessari e ineludibili accorgimenti: e non si trattava solamente di costruire lo spazio semplicemente (automaticamente; meccanicamente) traducendo le gradazioni chiaroscurali ottenute grazie alla manipolazione accorta della linea e del tratteggio in campi cromatici, ma pure di tener conto – risolvendo i problemi che ne derivano – che, mentre l’affermazione grafica poteva effondersi sul foglio di carta bianco senza essere condizionata dai suoi confini indefiniti, l’asserzione pittorica non poteva non tener conto dei limiti, ideali o marcati, di una cornice. Ed ecco, allora, la scelta sempre nuova del point-de-vue di luce, da un interno o di un interno, che si carica poi di un eloquente valore di inequivocabile allusività metaforica, giacché postula la proiezione visiva della propria interiorità e dei suoi moti, e la pretende dinamica, partecipabile coinvolgente e, quindi e per dir così, temporalizzabile. Osservò, una volta, con felicissima intuizione critica, Giuseppe Mazzariol, Balest cessa di organizzare lo spazio compositivo per scansioni di piani e attorno all’oggetto – veduta, paesaggio, natura morta, figura – come dato definito, ma affida a ritmi interni agli oggetti di cui suscita “ la successione delle apparizioni”, l’assetto dinamico della struttura spaziale e così passa “dal colore descrittivo al colore significante, da una prospettiva gerarchizzata ad una disposizione paratattica di forme e campiture cromatiche…”.
L’antologia della pittura di Corrado Balest presentata a Ca’ Pesaro, proprio là dove si sbilancia insistendo su opere recenti e recentissime, sbalza come l’avventura artistica del pittore sia ben lungi dall’appagamento di un traguardo che consenta l’esercizio compiaciuto della maniera di sé, e continui a srotolare, viceversa la stupefacente “Loggia” del 2003, rigenerate occasioni prodigiosamente risolte e, tuttavia, l’una all’altra non sovrapponibile, né contraddittoria”.
Lionello Puppi, estratto dal catalogo della mostra