Ca' Pesaro

Ca' Pesaro

PARADOSSI. INCONTRI INATTESI TRA ANTICO E CONTEMPORANEO. Le lesene di Giulio Aristide Sartorio e l'installazione sonora di Alberto Tadiello

Giulio Aristide Sartorio

IL POEMA DELLA VITA UMANA

Su proposta di Antonio Fradeletto, segretario generale della Biennale di Venezia, Sartorio accettò nella primavera del 1906 di realizzare un grande ciclo decorativo da collocare nel Salone centrale dell’Esposizione Internazionale del 1907. A Sartorio veniva affidato l’incarico ufficiale di illustrare, sulla base della mitologia antica, il «poema della vita umana». Nelle quattro scene principali – La Luce, Le Tenebre, L’Amore, La Morte – alternate a dieci teleri verticali (dove sono rappresentate la Grazia e l’Arte sorrette dall’energia virile), l’artista propone una visione intensamente drammatica dell’esistenza, a partire dalla nascita (insidiata dalle forze avverse) fino alla morte (cui però si oppone la sfida dell’ultima figura maschile, un autoritratto, che serenamente interroga, e sembra sfidare, la Sfinge). Tra i due estremi si situano le allegorie delle Tenebre e la divergenza  tra le figure di Eros e Himeros, il buono e il cattivo amore. La complessa iconografia messa in campo da Sartorio, approvata anche da D’Annunzio, appare come la sintesi tra mondo mediterraneo e cultura nordica, con chiari riferimenti alla concezione dell’eterno ritorno di Nietzsche. Privo di elementi architettonici e risolto in monocromia, il ciclo pittorico si segnala per l’eccezionale dispiegamento di figure in movimento che nei teleri di Le Tenebre e La Morte assumono forma rotante, a conferma dell’intento simbolico dell’insieme.

Per portare a termine i 240 m2 dell’opera in soli nove mesi, Sartorio adopera una particolare tecnica pittorica, sufficientemente rapida, che lui stesso descrive: ”ho usato una miscela di cera acqua ragia e olio di papavero”. Composto in sostanza confermato dalle recenti analisi realizzate dal Laboratorio di Scienze per Conservazione del Dais, Università Ca’ Foscari di Venezia.

Le quattordici scene, installate per l’inaugurazione della Biennale di Venezia del 1907, rimasero in situ anche per l’edizione successiva (1909).

GIULIO ARISTIDE SARTORIO

Roma 1860-1932

Figlio e nipote d’arte, avviato precocemente alla pittura, studia per breve tempo nella romana Accademia di San Luca. Ancora adolescente, ma già in possesso di abile tecnica, si dedica a dipingere figurette nello stile di Mariano Fortuny, di facile mercato. Riesce così, prima dei vent’anni, ad aprire un proprio studio a Roma. Il 1883, oltre a vederlo impegnato nella decorazione del villino romano del conte Gamberini, segna il suo esordio pubblico con il dipinto Malaria (Dum Romae consulitur morbus imperat). Grazie all’aiuto finanziario di Pietro Giorgi, con cui divide un nuovo studio in via Margutta, nel 1884 visita Parigi. Negli stessi anni entra in contatto con Gabriele D’Annunzio e nel 1886 stringe amicizia con Edoardo Scarfoglio e Francesco Paolo Michetti. Grazie alla frequentazione del Caffè Greco a Roma, animato da Angelo Conti, riferimento ineludibile per il nascente simbolismo italiano, aderisce all’Associazione “In Arte Libertas”, fondata da Nino Costa, con cui esporrà più volte. Nello stesso anno contribuisce con altri artisti all’”editio picta” di Isaotta Guttadauro, raccolta di poesie del D’Annunzio, dove si dimostra sensibile alla lezione preraffaellita, ben presente nell’ambiente culturale romano di fine Ottocento.

Grazie al dipinto I figli di Caino, riporta una medaglia d’oro all’Esposizione Universale di Parigi (1889).

Del 1893 è un suo viaggio in Inghilterra, che gli consente di conoscere direttamente l’opera di Burne-Jones, Rossetti e William Morris.

Chiamato dal Granduca Carlo Alessandro nel 1896, è docente di pittura all’Accademia di Weimar per quattro anni. Paesaggista e pittore d’idea, dà il meglio di sé nei grandi cicli decorativi per la Biennale del 1907 e per Montecitorio (1908-1912). Partecipa all’esposizione veneziana quasi ininterrottamente dalla prima edizione fino alla XVIIa. Durante la grande guerra, arruolatosi da volontario, realizza un consistente gruppo di dipinti di episodi bellici e, dopo essere rimasto ferito, conosce anche la prigionia. Nel 1918 sposa Marga Sevilla, con cui trascorre gli ultimi anni di vita negli Horti Galateae, la villa nei dintorni di Roma ristrutturata su proprio disegno. Da sempre appassionato del mezzo fotografico, è anche letterato ed illustratore, oltre che autore e regista di cinema (si ricorda in particolare il film Il Mistero di Galatea, 1918-19).

L’ingresso alla mostra è consentito con l’orario e il biglietto del museo >>>