Ca' Pesaro

Ca' Pesaro

LA PARTIGIANA VENETA. Arte per la Resistenza.

La storia

La Storia

1954: L’Istituto per la Storia della Resistenza delle Tre Venezia, con il sostegno e l’accordo di molte amministrazioni comunali, decide di dedicare un monumento alle donne partigiane e al loro contributo alla lotta per la liberazione del territorio, da collocare a Venezia, ai Giardini di Castello.
Un’autorevole commissione di esperti, composta da Giulio Carlo Argan, Sergio Bettini, Giuseppe Mazzariol, Diego Valeri, Bruno Zevi, suggerisce di affidare l’incarico a Leoncillo (Spoleto 1915 – Roma 1968).
L’artista, sensibile e rigoroso interprete di una ricerca espressiva alta e appassionata, ha partecipato attivamente alla Resistenza e la sua Partigiana, lontana dalla monumentalistica tradizionale, è un’opera del tutto nuova, sia nel contenuto, che nel linguaggio: non è una madre, non è una vittima, ma una giovane combattente che avanza da sola, in montagna, armata di fucile. Immagine vitale e quasi allegra, non è in pietra o bronzo, materiali durevoli ed “eterni”, ma in fragile maiolica smaltata di colori vivissimi.
Slancio e dinamicità la caratterizzano, lo stile è neocubista. Un’opera dirompente e notevole.
Finita nel ’55, viene però richiesto all’autore di modificare il colore del fazzoletto al collo della Partigiana, che non dovrà essere rosso, ma “più neutrale”. Leoncillo realizza così una seconda versione della scultura, col fazzoletto bruno.
Montata su un efficace e sobrio supporto in pietra disegnato da Carlo Scarpa, viene collocata ai Giardini e inaugurata solennemente nel settembre del 1957.
Nella notte tra il 27 e il 28 luglio 1961, una bomba fascista distrugge per sempre la Partigiana di Leoncillo.
All’unanimità, l’amministrazione comunale delibera di realizzare, con un concorso tra scultori veneti, un nuovo monumento, ma anche di acquistare per Ca’ Pesaro la prima versione dell’opera di Leoncillo, quella con il fazzoletto rosso, rimasta nello studio dell’artista.
Com’è noto, la nuova Partigiana , inaugurata nel 1969, avrà caratteristiche e significati assai diversi: realizzata in bronzo da Augusto Murer (Falcade 1922 – Padova 1985), rappresenta una donna morta, con le mani legate, presumibilmente torturata, che –distesa- affiora a pelo d’acqua davanti alla Riva dei Sette Martiri, dove ancora oggi si trova.
Simbolo di dolore e sacrificio, testimonia anche il mutamento di clima degli anni sessanta: da un lato il prevalere, nel ricordo, del dramma e della sofferenza, piuttosto che del trionfo per la vittoria sulla dittatura, dall’altro l’orrore e la paura per i segni di risveglio di quel mostro che si pensava sconfitto per sempre.